Opinione su Indianapolis 500: The Simulation: L'archetipo del genere simulativo

L'archetipo del genere simulativo

31/10/2018

Vantaggi

Ha fatto la storia

Svantaggi

Troppo datato per i canoni odierni


Quando si parla di giochi di corse, nel momento stesso in cui si pone l'accento sulla parola simulazione, non si può non tenere in considerazione il gioco che ha dato i natali a questo importantissimo (sotto-)genere.
Indianapolis 500: The Simulation. Per gli amici, l'archetipo del genere simulativo.
Prima di allora, mai nessuno aveva osato tanto (in tutti i sensi). Un solo circuito (l'ovale per eccellenza); tre vetture diametralmente opposte da saggiare; trentadue avversari contemporaneamente sul tracciato di cui tenere conto; una quantità di opzioni da far impallidire le produzioni moderne: pressione delle gomme, quantità di carburante (galloni) da immettere prima della gara, assetti, setup, regolazioni all'ala, giri del motore... tutto si può modificare, e ogni minimo cambiamento comporta una reazione sulla vettura, intaccando velocità, manovrabilità, affidabilità.
In poche parole: un gioco simulativo. Il primo. Curva di apprendimento rivolta in verticale; non ci sono sconti per le schiappe, i primi giri sono un continuo testacoda a 360°/affettuoso bacio al muro. Ma la contrizione non tarda a sopraggiungere. Si impara in fretta a rimanere con i piedi per terra, e si continua a migliorare, un passo alla volta... prima il piedino sinistro, e poi quello destro. E andiamo, sai camminare mano alla mano. Ora provaci da solo, bel bambino. Si incomincia ad osare. Si stampano i primi giri veloci, e alla fine si sfidano gli avversari in un continuo capovolgersi di situazioni, con le soste ai rifornimenti a sconvolgere la classifica, gli incidenti a scombussolare il risultato, gli errori a dare un po'di pepe alla sfida.
Geoff Crammond mise poi a frutto gli insegnamenti impartiti da Papyrus, madre di questo capolavoro, per dare vita ad un altro mostro sacro: Grand Prix. E la storia non fu più la stessa.

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leeboon

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