Un piccolo capolavoro angosciante
-La strada- di Cormac McCarthy è un volume breve ma intenso, quasi estenuante, ambientato in un mondo ormai in rovina. La trama in realtà è semplicissima: un padre e un figlio viaggiano verso sud, cercando di arrivare al mare. Nella desolazione di un mondo spettrale, annientato dall'apocalisse nucleare, un uomo e un bambino, suo figlio, sono chiamati a ricostruire una sopravvivenza che appare assurda e improponibile. Qui il nocciolo di questo libro bellissimo. Qualcuno lo ha definito statico, fermo nella disperazione irrisolta dello scenario iniziale di distruzione totale, con scarso sviluppo della trama narrativa. Ma non va cercato qui il valore del testo. Questo libro va letto, piuttosto, come paradigma della vita distrutta che è chiamata a ricrearsi senza un obiettivo realistico possibile se non l'impegno a continuare, a non arrendersi, a sperare ancora e sempre. Pure contro ogni verosimile speranza. In questo senso, la strada, cioè il cammino che i due protagonisti decidono di percorrere, ha due valenze, decisamente antinomiche. Da una parte la strada è luogo da evitare, lo scenario dove si addensano i pericoli, le insidie, gli agguati della vita. Dall'altra, costituisce comunque la sollecitazione a muoversi, a riprendere i rischi del cammino senza fermarsi alle sicurezze effimere di rifugi transitori. La meta forse è proprio questa fedeltà caparbia al procedere incessante e al continuo ricominciare che è poi la sintesi del vivere.
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