The Last of Us Parte II: l'arte del videogioco
Credo di avere un problema. Credo, anzi, che questo problema lo hanno avuto e lo avranno ancora in tanti. Ho finito The Last of Us Parte 2 e non riesco più a giocare ad altro.
Un passo indietro.
Posso dire con certezza che è un momento magico per i videogiochi. Tra giugno e luglio, escono in rapida successione The Last of Us Parte 2 e Ghost of Tsushima.
Li acquisto praticamente in contemporanea a causa di una mia mancanza. Tradotto, non ho mai giocato il primo The Last of Us. La Naughty Dog ha sfornato un capolavoro, senza se e senza ma.
Come detto, acquisto i due giochi in contemporanea, il proseguo dell'avventura di Joel ed Ellie e la fantastica promessa di un Giappone medievale come si deve, luogo e tempo che amo particolarmente.
Sulla scia del primo, decido di giocare prima la seconda parte di The Last of Us.
Una meraviglia. Senza alcun dubbio la pietra di paragone con cui tutto il mondo videoludico dovrà fare i conti d'ora in avanti.
A una grafica stellare e un gameplay più che soddisfacente, si sposano una trama mai banale e una longevità di tutto rispetto. Gli archi narrativi dei vari personaggi si dipanano ognuno con una propria dignità, si intrecciano e danno vita a un affresco mai visto in campo videoludico.
Fin troppo soddisfacente.
E qui torniamo al problema iniziale.
Faccio partire Ghost of Tsushima e mi sembra di essere tornato indietro nel tempo, alla precedente generazione videoludica.
Potere di The last of Us.
Benvenuto futuro.
Non si torna più indietro.
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