Opinione su Eneide - Publio Virgilio Marone: L' "Eneide": dalla propaganda alla poesia

L' "Eneide": dalla propaganda alla poesia

05/03/2016

Vantaggi

Ottimo strumento per capire la politica della "restauratio" augustea. E per gustare un po' anche il genio poetico di Virgilio.

Svantaggi

Inutile tentare una lettura integrale: meglio fare degli assaggi, con gli episodi più significativi.


L' "Eneide" è un poema che, almeno di nome, conoscono un po' tutti. Qualcuno se l'è trovato tra i piedi al liceo e all'università, magari con l'ingrato compito di dover scandire gli endecasillabi latini; e il "famigerato" quanto intrigante inizio: "àrma ferùmque canò", con tutto quel che segue. Però, al di là dei "diletti" (?) scolastici, l' "Eneide" è effettivamente un poema latino giustamente famoso e degno della massima attenzione, la cui lettura, anche in traduzione, può essere molto profittevole ed importante per conoscere la società romana antica dei tempi di Virgilio. Il nostro poeta di Mantova-Pietole, prima di morire si era caldamente raccomandato di "bruciare" l' "Eneide". Forse, se la sua volontà fosse stata esaudita, milioni di studenti avrebbero alzato al cielo peana di ringraziamento agli dèi dell'Olimpo. Ma, purtroppo per loro, le cose non andarono così, perché ci si mise di mezzo il grande imperatore Augusto, che, d'imperio, volle invece che il capolavoro virgiliano fosse salvato dalle fiamme. E perché mai Augusto, che provava stima ed amicizia per Virgilio e il circolo di Mecenate, letteralmente "vietò", senza possibilità d'appello, che l'"Eneide" fosse data alle fiamme? Perché "quel" poema era il "suo poema", attraverso il quale l'imperatore voleva una "restauratio" delle antiche virtù romane, che ai suoi tempi mostravano già diverse crepe. L' "Eneide" fu commissionata a Virgilio da Augusto con un intento assolutamente "politico". L'eroe per eccellenza, Enea, portava in sé tutte le "antiche virtù" dei Romani che ormai stavano scemando. Enea era un guerriero, pronto ad ogni battaglia, era dotato di forza e coraggio non comuni, e soprattutto aveva cara la sua famiglia: il suo amore per il padre, la moglie e il figlio sono ormai entrati nella leggenda. L' "Eneide", agli occhi di Augusto, era "perfetta" per i suoi intendimenti di "restaurazione" degli antichi costumi che avevano fatta grande Roma nel mondo. Egli capì che la "perdita" degli antichi valori avrebbe significato la decadenza ineluttabile di Roma. Per queste ragioni, l'imperatore "volle" che quel poema fosse salvato e che avesse la massima diffusione possibile. Virgilio, per accontentare l'imperatore, ce la mise veramente tutta, con risultati poetici incredibili, che fecero di lui una sorta di "icona" della letteratura latina. La fortuna di Virgilio e dell'Eneide attraverso i secoli fu straordinaria, e l'opera sopravvisse indenne nei secoli. Possiamo aggiungere che Virgilio superò se stesso e ogni aspettativa imperiale, offrendo un'opera che si è raccomandata alla lettura "essenzialmente" per l'alto valore poetico intrinseco, facendo in tal modo dimenticare la sua origine "spuria", ossia di opera voluta dall'imperatore per ragioni, potremmo dire, di "propaganda politica". E' altresì indubbio che l' "Eneide" difficilmente può essere "digerita" dai lettori nella sua interezza, ma certi passi sono ancora degni di attenzione e lettura attenta. Certo, a mio avviso, è significativo sapere "come" è nata quest'opera che pare davvero immortale, anche per gustarne di più il valore poetico, che è, senza alcun dubbio e piaggeria, realmente "grande". Ne consiglio una lettura alla "Benedetto Croce", cioè non impegnarsi in una lettura complessiva, ma scegliere gli episodi più significativi, che mettono perfettamente in luce, da un lato la strabiliante abilità artistica di Virgilio, e dall'altro fanno comprendere, tra le righe, ciò che Augusto aveva voluto che il poeta mettesse in particolare evidenza: le virtù guerriere di Roma antica, il rispetto della tradizione, l'amore per la casa e la famiglia. Tutte belle cose che, alla distanza di più di due millenni, mi sento di condividere appieno. Leggere i classici non è poi così noioso come si crede: basta sapere da dove partire e "cosa c'è dietro" la facciata, senza falsi infingimenti.

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Commenti

07/03/2016 18:57

Anche se confesso di non aver capito ancora bene come si faccia ad interagire con gli altri opinionisti, a proposito di questa "opinione" sull' "Eneide", aggiungo una postilla per chiarezza. Anziché scrivere il verso "arma VIRUMque cano", ho scritto "Arma FERUMQUE cano". Non si tratta di un errore di battitura, ma, nel contesto di una frase che voleva essere ironico-satirica nei confronti dell' "Eneide", ho usato "satiricamente" il verso di un poeta maccheronico dell'800, tale Enrico Petrella, che nel 1918 pubblicò "Una batracomachia macaronica", in cui, facendo il verso a Virgilio, e parlando di una risibile "battaglia delle ranocchie", scrisse il seguente verso, diciamo così, pseudiovirgiliano: "Arma FERUMQUE cano bellum, quod in arva ranocchie ...". Il verso mi era rimasto impresso, e l'ho proposto. Poi m'è venuto lo scrupolo che esso potesse dar adito a fraintendimenti, per cui preferisco "ripristinare" il verso originale: "Arma virumque cano". Mi scuso per la libertà, forse eccessiva, che mi sono presa, e chiedo venia. Grazie.

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