Opinione su Joker (2019): Un nuovo Joker, più temi sociali, più bravura
Un nuovo Joker, più temi sociali, più bravura
08/07/2020
Vantaggi
Interpretazione di Phoenix, storia solida e profonda, regia, musiche, cast
Svantaggi
Non per tutti
"Joker" è un film che lotta per allontanarsi dai confini tracciati dai cinecomics campioni d'incassi venuti negli ultimi tempi propendendo verso orizzonti diversi che sanno di cinema d'altri tempi, cinema d'autore, cinema estremo. Pur optando per una propria traiettoria precisa e meno contemporanea, non solo ha mietuto consensi da parte di pubblico e critica, ma ha anche incassato una cifra da capogiro. Insomma, è un film che, pur con una sua identità e pur restando in tema di cinefumetti, ha equiparato il successo di pellicole più convenzionali. E agli Oscar del 2020 ha ottenuto undici candidature, portandosi a casa due statuette (miglior attore protagonista, miglior colonna sonora).
Joker è il nemico principale di Batman, ha già trovato ampio spazio al cinema, ma questa volta il personaggio subisce un trattamento con i fiocchi e ci possiamo addentrare nei meandri della sua psiche contorta e traumatizzata. È una nemesi da sempre avvolta nel mistero, per quanto riguarda il suo passato, ma adesso possiamo avere una panoramica nuova.
Il regista, Todd Phillips, dirige e scrive (insieme a Scott Silver) una storia che attinge molto dalle pellicole di tempi andati e la scelta è calzante, considerato anche che trova luogo nel 1981. Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) è un uomo problematico che vive con la madre in un posto lurido, è affetto da una condizione patologica che lo porta a ridere anche se non vuole e spera di avere successo come comico. Intanto prende sette medicinali diversi, scrive un diario, si reca dalla terapista e si destreggia con qualche lavoretto facendo il clown. Lui vuole far ridere le persone, ma quelli attorno a lui lo irridono, lo malmenano, non lo comprendono. È una vittima a tutti gli effetti in preda ai suoi problemi interiori e in balia del delirio che sta montando a Gotham City. Per una figura problematica come Arthur - fragile, malato, incompreso, oppresso - tutte le batoste alla fine si fanno sentire e il dolore accumulato si trasforma in follia, in desiderio di sovvertire ogni ordine, perché tanto non ne esiste alcuno in quella città in cui iniziano a formarsi manifestazioni contro Thomas Wayne (sì, il padre di Bruce Wayne/Batman) a seguito di un sanguinoso evento legato ai clown, o per meglio dire, a ciò che ha fatto UN clown. E Thomas Wayne è uno dei fili della trama che concorrono a creare un intreccio narrativo che è servito a fornirci elegantemente -e non invasivamente - le origini di Batman, andandosi quindi a legare altresì alla nascita del suo più acerrimo nemico che dà il proprio nome alla pellicola. Prima di diventare Joker a tutti gli effetti, Arthur Fleck è diviso tra la voglia di una figura che lo ami e lo capisca e il desiderio di una carriera da comico, ma la sua mente dà segnali di squilibrio sempre più forti perché quel mondo che lo ospita lo ha reso così, lo ha spinto ai limiti, e a un'anima frantumata come lui è bastata una pistola per farlo diventare una scheggia impazzita. Egli arriva al punto di essere accettato dalla società non facendo quello per cui si sentiva portato (il comico) bensì liberandosi di ogni freno inibitorio, assurgendo a simbolo di quella repressione che attanaglia la popolazione degradata di Gotham City e così in fermento, in subbuglio, in cerca di dare sfogo al proprio malcontento. Guardando il film ci si astrae completamente, quel che c'è da seguire è solo la vita di Arthur con le sue ambiguità, con le sue tribolazioni e con i dubbi che ci insinua.
I dialoghi sono asciutti e si predilige l'essenzialità agli orpelli. I significati aggiuntivi ci vengono dati dai dettagli visivi, dal linguaggio non verbale, quello corporeo. La telecamera indugia sulla figura macilenta del protagonista e gli occhi di chi guarda assorbono tutto il potere delle sue espressioni facciali, ogni oncia della privazione che gli pervade l'animo. E quanto lo capiamo quando lo osserviamo nella sua vita sudicia! Come ci arriva dritta allo stomaco la sua risata isterica, malata, disturbante, viscerale! Quanta pena proviamo per lui, anche dopo che diventa un omicida sanguinario che si accanisce su coloro che invece non hanno mostrato pietà di lui! Ma, soprattutto, che idea ostica ma vincente è stata quella di narrare le origini di Joker - uno dei personaggi più nefasti e perversi dei fumetti - muovendoci a compassione! Lo troviamo calato in un contesto in cui è la società il nemico effettivo, colei che lo ha prodotto, incapace di tutelare i deboli e arrivando addirittura al punto di tagliare i fondi alla sanità. Ed è potente, in virtù di queste considerazioni, osservare le scene finali in cui Joker è all'apice vero e proprio, in cui lui e la comunità circostante si uniscono per accogliersi a vicenda, contrariamente a quanto visto prima. All'inizio del film era stato malmenato e giaceva dolorante in un viottolo della metropoli alla luce del sole; alla fine del film viene tratto in salvo dai concittadini, si regge sulle sue gambe a testa alta nella foschia della notte. Quella città che lo aveva preso a calci, che lo aveva schernito, che gli aveva rifiutato lavoro e opportunità, ora vede in lui ciò di cui aveva bisogno. È una storia, questa, che resterà attuale sempre perché narra di truce violenza che si scatena su più fronti (governativo, politico, psicologico, sociale), perché parla dell'influsso della società sulla gente più sola e incompresa, e perché ci racconta di uno sfigato in una maniera tanto limpida e profonda da arrivarci dentro a tuttotondo. Solo un attore del calibro di Joaquin Phoenix poteva reggere il peso di un'interpretazione tanto potente, che lo ha fatto mettere in gioco al cento percento a livello fisico e mentale. Lui si annulla per diventare Arthur Fleck a tutti gli effetti ed è perfetto così com'è, con i suoi balletti sconnessi, con la sua risata incontrollata, con costole, vertebre, scapole e lividi in bella mostra, con i suoi completini colorati, con il cerone spalmato fin sulla lingua, con la pistola in tasca da una parte e il suo quadernetto dall'altra. È inappuntabile dalla prima all'ultima inquadratura poiché ci fa percepire il suo malessere. Ovviamente non poteva non vincere il suo primo Oscar con questa prova da manuale, ma se c'è un altro attore che ricopre un ruolo davvero funzionale, anche se non si direbbe, è Robert De Niro, che interpreta un presentatore di grido (Murray Franklin), modellato su un personaggio che fu suo in una delle pellicole di Martin Scorsese, "Re Per Una Notte". I due attori sono al centro di una scena mozzafiato inserita nelle battute finali, una di quelle che rivedrei e rivedrei sempre.
Poter assistere ai virtuosismi di attori, regista e compositrice musicale, percepire la solidità della sceneggiatura e la sua intensità psicologica fa trascorrere le due ore di durata in assoluta concentrazione, tanto da avere l'impressione che il film sia anche più lungo. È come se si perdesse la cognizione del tempo perché ci ritroviamo in un altro scenario, in un'altra epoca in cui regnano il caos, il dramma puro e semplice, la spietatezza e una brutalità talmente estesa che rende tutti sia vittime che carnefici, contemporanemente, magari dopo quelle proverbiali brutte giornate che capitano a tutti. Proprio come è accaduto a Arthur, o per meglio dire "Joker".
Questa opinione rappresenta il parere personale di un membro di Opinioni.it e non di Opinioni.it.
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trama
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ambientazione
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personaggi
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sviluppo
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adatto a tutti
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