Opinione su La luna e i falò - Cesare Pavese: "La luna e i falò": testamento spirituale di Pavese
"La luna e i falò": testamento spirituale di Pavese
17/02/2019
Vantaggi
Un romanzo che serve a comprendere lo spirito tormentato di Cesare Pavese
Svantaggi
Non considerare che "La luna e i falò" fu l' "ultimo" romanzo di Pavese, prima del suicidio
Però, a mio avviso, l' "uomo Pavese", e lo scrittore, avevano in sé un qualcosa che, più che al Neorealismo, rinvia a una sorta di "Decadentiosmo", se non altro perché i personaggi pavesiani sono sempre molto "tormentati": in genere sono dei "pensatori", degli intellettuali abituati a interroggare se stessi, e il mondo in cui vivono. Quando parlo di "mondo", tuttavia, non intendo "il Mondo Grande", quello di tutti, ma il "piccolo mondo" della vita d'ogni giorno: per Pavese, il "mondo" è la casa, o, a voler ampliare l'orizzonte, la sua terra, e soprattutto le Langhe, con la sua gente, spesso umile.
E adesso veniamo alla "Luna e i falò". La storia di Anguilla, che dall'America torna al paese per ritrovare le proprie radici, è la storia stessa di Pavese, nell' "imminenza" della morte, e con in testa il pensiero della assoluta "impossibilità" di recuperare "effettivamente" la propria vita. Cercherò di spiegare questo concetto rifacendomi a una parola del titolo del romanzo: i "falò".
A un certo punto della vicenda si assiste all'incendio di una cascina, che è teatro di una tragedia familiare: un uomo stermina la propria famiglia, incendia la casa, e poi si suicida. Ebbene, Anguilla, che era tornato dall'America per recuperare il proprio passato, e che conosceva benissimo quella cascina per averla frequentata in gioventù, "pensa" a quanto "diversi" siano i falò "moderni" da quello della sua giovinezza, che erano accesi dai contadini per riti propiziatori di un buon raccolto.
Quel mondo ormai antico era ormai scomparso per sempre, e i falò accesi nei tempi nuovi non avevano nulla a che spartire con i falò della sua gioventù: essi, anziché simbolo di vita, di una terra che si rinnova per dare nuovi frutti, erano invece soltanto simboli di violenza, di quella violenza che aveva attraversato il mondo intero alcuni (pochi) anni prima.
Anguilla quindi comprende che il suo "ritorno" alla terra natìa non aveva più senso: le cose erano ormai radicalmente mutate: in sostanza, egli comprende di aver sbagliato a tornare, perché ciò che è passato è "irrecuperabile".
Anche Pavese, nel momento in cui decise di togliersi la vita in quella solitaria camera d'albergo nel 1950, era giunto alla conclusione che "indietro" ( forse agli anni migliori e più intensi della sua vita) non si poteva più tornare. Meglio, quindi, togliere il disturbo e andarsene. Un po' quello che aveva fatto Anguilla dopo la "folgorazione" dei "falò".
In questo senso, direi che "La luna e i falò" sono un po' il testamento spirituale di Cesare Pavese, uomo delle Langhe, e di un piccolo mondo che ormai non c'era più.
Questa opinione rappresenta il parere personale di un membro di Opinioni.it e non di Opinioni.it.
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trama
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ambientazione
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personaggi
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sviluppo
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adatto a tutti
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