Ottime premesse, scarso risultato
L'idea mi pareva curiosa: in un paesino del Centro Italia si aggira un serial killer che sì, fa quello che deve fare, ma lascia sul posto biglietti sgrammaticati.
Un dettaglio che in un certo senso fa storcere la bocca ai pochi abitanti di Fancuno, il paese in cui avvengono i delitti. Insomma, già in passato sono stati derisi per il nome facilmente equivocabile della località, ed ora che, volenti o nolenti, salgono alla ribalta della cronaca nera rischiano di fare pure la figura degli ignoranti a causa di questo "sirial ciller" (sic! così si firma).
Le indagini vengono seguite nel romanzo attraverso gli occhi esperti di un giornalista che, il caso vuole, sia anche un abitante del paese. Viene raccontata la leggenda che riguarda il paese, e il bosco che lo delimita, che pare volere di tanto in tanto un tributo in termini di vite umane, in cambio di favori. Si scoprono gli abitanti di questo microfono: la barista, il fiorista, quello che va in giro a raccogliere tutto quello che trova per poi catalogarlo...
La trama in effetti non è male, o meglio, ci sono tutti gli ingredienti per un romanzo divertente e, visto che di un giallo si tratta, intrigante.
Però non conta solo il "cosa", conta anche il "come".
Non si riesce a fare quel salto di qualità che rende questa idea - sulla carta brillante - un'idea vincente, un libro che conquista.
Il demerito va in toto allo scrittore che non è stato in grado di adottare uno stile efficace.
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