Davvero bello ma tristissimo
Mi trovo di fronte a uno dei testi letterari più difficili da recensire in assoluto. Sia perché più cerchi di commentarlo nei dettagli e più avverti la sensazione di avere saltato tanti passaggi fondamentali, sia perché è davvero difficile per un uomo comprendere in profondità la sconfinata psiche dell'Universo femminile. Si può provare, ma non è detto che si riesca.
Voglio comunque provarci a tutti i costi, perché questo testo, ma soprattutto l'Essere donna presentatoci dalla Fallaci merita di essere capito. Questo libro è il frutto dolceamaro di un periodo di lotte femministe, ma è anche specchio impietoso di quesiti esistenziali, espressi con stile struggente e caustico.
Decidere se dare la vita o negarla, quando non si crede in Dio e nella vita, significa dover percorrere da soli un sentiero pieno di contraddizioni laceranti.
La protagonista è una madre che gronda tenerezza dalle unghie, capace di difendere il suo bambino contro tutto e tutti, ma forse non contro se stessa. E' il prezzo da pagare alla cosiddetta maternità consapevole, che disdegna ogni forma di retorica da melodramma.
Ed ecco sbocciare l'amore più puro, quello non imposto dallo Stato e dalla religione, amore caparbio verso una creatura che prende forma: “Dormiamo insieme, abbracciati. Io e te, io e te... Nel nostro letto non entrerà mai nessun altro”.
E invece il mondo ci deve entrare, con le sue leggi buone per tutte le stagioni, con le sue ipocrisie: “Tu che non conosci ancora la peggiore delle verità: il mondo cambia e resta come prima”.
Una madre deve fare anche questo, preparare il figlio a difendersi dalle prepotenze, raccontargli favole senza lieto fine, insinuargli il dubbio: vale davvero la pena sottrarsi al nulla e vivere?
Ma sul terreno sdrucciolevole del dubbio lei stessa finisce per inciampare, e i sentimenti ostili di una donna che non fa sconti neppure a se stessa prendono il sopravvento: “Ti insinuasti in me come un ladro, e mi rapinasti il ventre, il sangue, il respiro. Ora vorresti rapinarmi l'esistenza intera. Non te lo permetterò”.
E' la zampata di una tigre abituata agli spazi aperti e costretta all'immobilità da una gravidanza difficile, forse è solo un momento di stizza, ma necessario come la vita stessa.
Costerà “vallate di tristezza invano fiorite d'orgoglio”, ed approderà ad una speranza carica di disillusione, messaggio estremo rivolto ad un essere che alla fine, avvilito, ha smesso di lottare:
“Il dolore non è il sale della vita. Il sale della vita è la felicità, e la felicità esiste: consiste nel darle la caccia”.
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