"Uno, nessuno, centomila": la "dissoluzione" dell'individuo
Vantaggi
"Uno, nessuno, centomila": la sintesi del pensiero filosofico-esistenziale di Pirandello.
Svantaggi
Un romanzo forse meno semplice di quanto comunemente si crede.
Confesso di essere molto dubbiosa nell'accingermi a scrivere due righe su "Uno, nessuno, centomila" di Luigi Pirandello. Il dubbio nasce dalla difficoltà di trovare il punto focale del romanzo, che, tuttavia, sembra consistere nel problema della "dissoluzione" della personalità individuale. Provo a spiegarmi: Vitangelo Moscarda, dopo essersi accorto di un difetto del suo naso, fattogli notare dalla moglie, s'inviluppa via via in una sorta di "parossismo metamorfico", o, per dirla con parole più semplici, in un desiderio spasmodico di "cambiare" se stesso rispetto a come egli era "vissuto" dagli altri. Ma il pensiero filosofico di Pirandello non gli lascia scampo: è impossibile dismettere il proprio "ruolo sociale" ( la famosa "maschera" pirandelliana) se non a rischio di non essere più "riconosciuto" e di essere considerato completamente "folle". Cosa che inevitabilmente capita al povero Vitangelo che, di punto in bianco, si trova ad essere visto come un pazzo, con la moglie che vorrebbe farlo interdire. Il dramma di Moscarda sta nel non aver capito fino in fondo "dove" lo stava portanto la sua mania per la metamorfosi personale. A poco il personaggio si sdoppia, si triplica e si quadruplica fino al punto di "dissolversi" in una miriade di aggregati fisici che non hanno più alcuna consistenza né per se stesso né per gli altri. La "perdita totale di se stessi" è dunque l'esito finale di chi decide di rinunciare al suo "consueto ruolo" dentro la società di appartenenza. Insomma, la "dissoluzione" del personaggio coincide con la sua assoluta "morte sociale". C'è però questo termine, "dissoluzione", che mi ha dato da pensare parecchio dacché leggo Pirandello. E, per come la vedo io, avendo cercato di approfondire la personalità di questo scrittore, la "cupio dissolvi", ossia il "desiderio di sparire" come elemento infinitesimale tra gli altri elenti della natura era una prospettiva terribilmente "attraente" per Pirandello, per il quale la morte non era altro che una "dissoluzione", un "ritorno" alla natura, elemento tra gli altri elementi. Ho anche avuto l'impressione che per Pirandello il termine "dissoluzione" non abbia alcuna valenza negativa, ma che, al contrario, esso eserciti sulla personalità dello scrittore siciliano una "forza attrattiva" a cui non sapeva resistere. Adesso sto pensando che addirittura la "dissoluzione" sia l'unico modo effettivo per fuggire, per sempre, da tutti i vincoli e le catene imposte dalla società. Forse era questo che Pirandello voleva trasmetterci: non c'erano altre vie di uscita. "Uno, nessuno, centomila" è forse il romanzo più "filosofico" di Pirandello, che, a mio parere, si portava dentro molto della personalità di questo straordinario personaggio. E proprio ora mi sovviene ( ma non vorrei che la memoria mi tradisse) che egli volle essere cremato e che le sue ceneri fossero disperse al vento. La "dissoluzione" come "ritorno" alla natura "immortale". Basta, non mi viene in mente altro, e qui concludo.
Questa opinione rappresenta il parere personale di un membro di Opinioni.it e non di Opinioni.it.
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